Con anatocismo, nel linguaggio comune, si intende genericamente il contenzioso con la banca, anche se, per nostra esperienza, l’anatocismo rappresenta la parta minore delle anomalie poste in essere dalle banche sui suoi contratti.
Nei fatti l’anatocismo è la capitalizzazione composta degli interessi, in buona sostanza si tratta dell’applicazione di interessi sugli interessi già maturati.
L’anatocismo è una pratica vietata dall’art. 1283 c.c. il quale vieta l’applicazione degli interessi sugli interessi in mancanza di usi contrari; lo stesso è ammissibile solo dal giorno della domanda giudiziale o per una convenzione successiva alla loro scadenza, e solo se si tratta di interessi dovuti per almeno 6 mesi.
La giurisprudenza per lungo tempo aveva ritenuto legittimi gli interessi anatocistici richiesti nei rapporti bancari.
Nel 1999 con tre famose sentenze (Corte Cass. Sez. I n. 2374 del 16/3/99; Corte Cass. Sez. III n. 3096 del 30/3/99; Corte Cass. Sez. I n. 12507 dell’11/11/99), la Corte di Cassazione ha radicalmente modificato il proprio orientamento, affermando la natura negoziale e non normativa dell’uso posto a giustificazione della capitalizzazione trimestrale praticata dalle banche, dichiarando l’anatocismo trimestrale illegittimo.
L’ orientamento è stato confermato dalla Suprema Corte con la sentenza n. 21095 del 4/11/04.
Al fine di soccorrere il sistema bancario ( ve n’era palese esigenza, sic! ), il legislatore ha introdotto, attraverso la delibera C.I.C.R. (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio) del 09/02/2000 che ha modificato l’art. 120 del T.U.B., la possibilità, per i rapporti di conto corrente, di applicare gli interessi sugli interessi.
La norma prevede, tra le altre, due condizioni indispensabili, per l’applicazione:
• Accettazione espressa e contrattuale della capitalizzazione degli interessi
• Reciprocità del beneficio
Considerando che il tasso creditore contrattuale è sempre prossimo allo zero mentre il tasso debitore di norma è composto da due cifre decimali, è inesistente un reale reciproco beneficio. Tale clausola, qualora presente in contratto ( per esperienza di rado presente ) è da considerarsi nulla.